Annarita Renzi: Medicina e arte per la vita

La dottoressa Annarita Renzi, specialista in anestesia-rianimazione, ha studiato medicina presso l’Università La Sapienza di Roma, città dove vive. Lavora presso l’ospedale Grassi di Ostia, dedicandosi senza remore, insieme ai suoi colleghi, al risanamento dei malati. Sul fronte della vita, non c’è mai tempo per rilassarsi o per prorogare un atto salvifico. Non si può dire rimandiamo a più tardi. La professione l’hai sceltaꓽ è una in cui ti arroventi, hai la responsabilità di fare del bene a chiunque e sempre. La professoione tua lo reclama.

Con il medesimo coinvolgimento emotivo, si fa trascinare anche dalla seconda passione suala pittura. Vive con uguale partecipazione l’una e l’altra, in quanto entrambe medicina e arte fanno parte del suo indole, del suo vissuto. Sono le due coordinate della propria esistenza. Si completano, si uniscono, risultando in tal modo il tondo perfetto di una personalità unica e specialerigorosa, implicata, pronta a far ingresso nella zona di rischio, nell’istante nel quale va salvata una vita (come richiede la scienza medica), ma alla stessa stregua è generosa, tenera e munita del talento d’interpretare le sfaccettature della vita in colori abbinati a pennello. Trattasi di una doppia dedizionemedicina e arte firmata Annarita Renzi.

Metaforicamente, collochiamo il dialogo seguente con la gentile accondiscenza della medichessa-artista  sul pannello dell’affettività. 

Veronica Balaj.: Sono contentissima per aver accettato di parlare di medicia e arte, delle modalità esistenziali da lei scelte. Molti esempi si potrebbero fare di medici, taluni di notorietà mondiale come Čechov, per esempio, che sono stati eccelsi anche nel campo artistico. Lei ha talento pittorico. Sarebbe interessante che ci dicesse se avesse scelto di primo acchitto la via della medicina. Non ha avuto attimi di esitazione?

Annarita Renzi.: Inizio con un aneddoto: „Mia madre diceva sempre che ho preso prima la matita in mano e poi ho imparato a camminare”; d’altro canto il primo gioco che ho scelto da sola a 4 anni, é stato „Il piccolo medico”. Quindi fin da piccolissima mostravo interesse per le due materie, poi dagli 8 anni ai 18 subentrò la terza passione: la ginnastica artistica, insomma impegnatissima fin da bambina. Alla fine del liceo (a indirizzo scientifico, amavo anche la fisica) mi trovavo davanti ad una scelta difficile: l’accademia d’arte e la Facoltà di Medicina. La grande curiosità per gli argomenti medici mi spinse verso questa scelta e poi mi dicevo, posso sempre dipingere, una cosa non esclude l’altra. Durante il periodo universitario infatti eseguivo il „Disegno anatomico” per libri di testo, articoli scientifici e congressi. Oggi continuo a coltivare tutte e due le passioni.

V.B.:  Tutte e due le vocazioni sono legate alla vita. Una si svolge con sequenze di sofferenza, dolore che lei deve sanare, intervenendo d’urgenza, senza il diritto di errare, l’altra, la pittura, esprime a colori e con l’immaginazione, senza limitazioni tematiche, altre sfumature della vita. Qui, sta il punto di collegamento di queste due passioni., Come le coordina?

A.R.: Nella mia esperienza la passione per la medicina e per l’arte sono confuse fra loro, il dolore e la malattia non sono mai solo del corpo, ma spesso anche della mente e dell’anima. Il medico ha due compiti : curare il corpo e sollevare lo spirito del malato, per riuscire in questo bisogna leggere al di la delle parole, cogliere i pensieri dell’altro, le sue paure ei suoi bisogni, quando lascio un paziente, spesso le emozioni si traducono in immagini e colori sulla tela. Sicuramente per me dipingere è una terapia di scarico verso le pesantezze della malattia.V.B.: La pittura è soltanto un’abitudine di rilassamento oppure un’alternativa neccessaria per sentirsi realizzata nella vita?

V.B.: Quale delle due, medicina o arte, ha coinciso con il primo successo?

A.R.: La pittura non è né un abitudine di rilassamento, né un’alternativa per sentirmi realizzata. La pittura è come un terzo braccio che riesce a fare ciò che le braccia anatomiche non possono fare, è il braccio della mente e del cuore.

V.B.: Lei partecipa  a mostre di anvergura. Ha lavori in acquerello, olio, acrilico…. Se fossimo oèpiti nel suo atelier, cosa potremmo vedere? Lavori iniziati e abbandonati? A proposito, lei riprende una tematica lasciata in attesa o la elimina a tutti gli effetti?

A.R.: I primi riconoscimenti sono avvenuti con il disegno in età adolescenziale, ma reputo che il vero successo sia quello della medicina, non coppe e medaglie, ma la fiducia che i pazienti ripongono in te. Si ricordano di te anche dopo la guarigione e questo è un bellissimo successo.

V.B.: Conosce la tristezza, se un lavoro non lo considera riuscito?

A.R.: A volte inizio un lavoro inseguendo un idea, ma alla fine il quadro racconta altro, in una „furia creativa” la mente trascrive sulla tela le emozioni del momento. Quasi mai un mio dipinto segue un progetto ragionato e spesso non so bene quale sarà il risultato finale, io stessa spesso mi sorprendo delle mie pennellate, per questo non considero mai un mio lavoro non riuscito, la spontaneità mi ripaga sempre.

V.B.: Nella professione medica, ha avuto momenti di mestizia per i limiti della scienza al riguardo della vita?

A.R.: Certamente si, la scienza ha ancora grossi limiti purtroppo, più conosciamo e più ci rendiamo conto di non sapere.

V.B.: Vive a Roma, una città zeppa di storia, di arte, impareggiabile sotto molti aspetti… Potremmo fare il giro del mondo, senza trovare similitudini. Cosa la ispira? Il mare, assai vicino (proprio nei pressi dell’ospedale in cui lavora a Ostia), il passato magnifico, le sequenze della vita immediata? Penso al periodo della pandemia. È stata coinvolta dal punto di vista professionale, emozionale oltre ogni limite  giammai immaginato. Ha curato pazienti in situazioni speciali. La paura aveva preso il sopravvento nel mondo. Ha dipinto, anche in quel periodo?

A.R.: Tutto è stimolo ed ispirazione, anche la pandemia. Il mio lavoro „Le bateau Ivre” (titolo rubato ad A. Rimbaud), mi ha cosi così colpita tanto da usare anche le mascherine chirurgiche sulla tela (poi invio la le foto): il battello squassato dai marosi siamo noi, la tempesta è la pandemia, ma c’è sempre la luce della luna in cielo e due fantastiche sirene in mare, ci salveremo.

V.B.:  Poco tempo fa, in Italia si è fatta una mostra collettiva, virtuale, dal titolo bellissimoꓽ Il valzer delle emozioni. Come definisce quel momento culturale?

A.R.: „Il valzer delle emozioni” è stato un bellissimo evento, molto ben organizzato e fatto con sentimento. Le curatrici, la critica sono state molto attente, bravissime, hanno dato il giusto risalto a tutti gli artisti che hanno partecipato. Un grande lavoro, un bel successo di pubblico e tanta, tanta visibilità. Il popolo dell’arte si è riunito in una festa di temi e colori, sono nate nuove amicizie e nuove collaborazioni, davvero positivo.

V.B:  Nel suo caso, la pittura l’aiuta nella professione  di altissimo rigore che esercita? Si nota subito la sua empatia, piena di buonavolontà, di umanità. È davvero grande il contributo dato dal’arte? O dal proprio indole?

A.R.: Sicuramente l’arte mi aiuta nella mia professione. L’arte è libertà, l’arte permette tutto, mi libera dal rigore che mi impone il mio lavoro.  Anche la mia indole è però importante. La professoressa Ranieri, mia tutor in scuola di specializzazione e donna di grande Umanità, che ricordo  sempre con grande affetto, diceva sempre: „ANESTESISTI-RIANIMATORI SI NASCE”.

V.B.: Un medico, soprattutto un’anestesista come lei, sta sempre oltre la linea di fuoco. Il pericolo è alto in ogni istante. Ogni secondo conta.  Si considera un essere umano coraggioso? Noi profani vi paragoniamo ai soldati sul fronte. IL fronte della vita. Occorre agire istantaneamente. Lei si considera una persona coragiosa?

A.R.: Se il coraggio è la spontaneità di esserci per gli altri, allora, sono coraggiosa. Nel mio lavoro, anche nell’emergenza la paura non esiste, non hai il tempo per avere paura. Nelle situazioni difficili bisogna essere capaci di riconoscere cosa sta succedendo rapidamente e mettere in atto subito la soluzione del problema, solo dopo io mi rendo conto del rischio.

V.B.:  Che altre qualità apprezza in una persona?

A.R.: La sincerità, la schiettezza, il rispetto per le cose e per gli altri. Non sopporto la falsità.

V. B.: Come percepisce il dolore? È una soglia, una provocazione che va superata, una coordinata, un elemento che non può mancare nella vita di chiunque?

A.R.: Come percepisco il dolore? è una lama che ti dilania. Sia il dolore fisico che quello della mente e dell’anima, sono capaci di distruggere una persona. Riesci a percepire il dolore dell’altro se sai leggere i messaggi subliminali, il dolore ferisce nell’inconscio oltre che nel corpo, uno alimenta l’altro e per sconfiggerlo devi lavorare su due fronti, un’operazione , a volte, molto complicata e questa volta parlo da terapista antalgica (altra branca della mia specializzazione).

V.B.: Lei è sempre preparata per aiutare chi si trova sulla soglia del dolore. Cioè lei è destinata a fare del bene, giorno e notte. Tutta la gratitudine! La prego di trasmetterla anche al suo collega, il chirurgo Marco Millefiori. La ringrazio moltissimo di questa confessione e le auguro gran fortuna su entrambi i pianiꓽ medicina e arte.

Veronica Balaj